Pietro Cozzi: presidente per passione

Preferisce chiamare passione quella che oggi, per moltissimi, è diventata una parola d’ordine forse più imparata a memoria che messa in pratica giorno per giorno; la celebratissima “mission”.

Forse perché non è un improvvisato nel vivere con trasporto autentico quello che fa. E infatti la sua passione è storia lunga 64 anni per l’azienda di famiglia e dura da decenni per un’altra Famiglia, quella che ha sede in villa Jucker.

Pietro Cozzi, dallo scorso 18 febbraio presidente della Fondazione Famiglia Legnanese, ha raccolto il testimone lasciato prematuramente da Mauro Mezzanzanica; un impegno con cui onora la memoria di un amico, si assume la responsabilità di continuare un’avventura concepita e realizzata insieme con altri due amici, Luigi Caironi e Ferdinando Villa, oltre trent’anni fa e con cui continuerà a occuparsi di aiutare con le borse di studio i giovani che cercano la loro strada, ossia a guardare dritto al futuro.

«Da tempo, data l’età, avevo rinunciato a ricoprire incarichi di presidenza, dopo averne assunti tanti in passato. È mio costume essere puntuale, ma la sera del 18 febbraio ero leggermente in ritardo rispetto al solito per la riunione della Fondazione in Famiglia. Quando sono entrato nella sala della biblioteca l’ho trovata affollata come mai. C’erano anche monsignor Angelo Cairati e il sindaco Gianbattista Fratus. Sembrava mi aspettassero tutti. Era presente anche il notaio Carugati; ho capito allora che la scelta era già stata presa. E come potevo dire di no alla presidenza della Fondazione? Mi chiedevano di portare avanti quella che è stata anche una mia creatura. E sono stato ben contento di accettare per il rispetto della situazione che si è venuta a creare e per l’amicizia e la considerazione che avevo di Mauro: me lo vedo ancora davanti: imponente, impegnato a discutere. Abbiamo condiviso tante cose in questi anni. Per dare continuità al lavoro ho chiesto che la vicepresidenza fosse affidata a Gianfranco Bononi, che ha lavorato gomito a gomito con Caironi prima e con Mauro poi».

È voluto andare sul sicuro il consiglio.

«Ho accompagnato la Fondazione dalla sua nascita. Una sera d’estate a cena con Caironi e Villa, credo fosse il 1982, Villa disse: sarebbe bello che la Famiglia facesse qualcosa per i giovani. Io e Caironi abbiamo suggerito le borse di studio. La Famiglia aveva da parte delle risorse che derivavano dalla sua attività sociale L’anno successivo, davanti al notaio Fenaroli, è nata la Fondazione. Da quel momento, insieme con tanti amici, in tutti questi anni si è cercato di fare il meglio. E i risultati sono lì a testimoniarlo. Semplicemente impressionanti oltre 3mila 700 borse di studio per un importo superiore a sei milioni e mezzo di euro. Ricordo che a Caironi piaceva, da quando fu introdotto l’euro, tradurre in lire il totale perché risultasse più chiaro. E lo traduco anch’io: quasi 13 miliardi delle vecchie lire».

Borse che in questi anni non hanno risentito della crisi.

«Merito dei nostri donatori che hanno mantenuto saldo il loro impegno, perché non era affatto scontato reggere gli effetti di una crisi che –non nascondiamocelo– non sono esauriti. E ai donatori, come presidente della Fondazione, sto già lavorando per dare più visibilità possibile. Abbiamo già fissato il 9 maggio la serata loro dedicata in Famiglia cui abbiamo invitato anche i sindaci del territorio per far comprendere meglio l’importanza dell’iniziativa. Negli anni, come è fisiologico, c’è stato un ricambio fra i donatori: i nuovi ingressi hanno rimpiazzato i soggetti che sono venuti meno. Ma questo non è automatico; è il frutto di un lavoro che ci impegna tutto l’anno».

Come pensate di assicurare continuità e di alimentare il circolo virtuoso del dono?

«Il messaggio che voglio lanciare è semplice. A chi è stato borsista dico: anche tu, un giorno, potrai diventare donatore. Tu che oggi hai ricevuto come studente, domani potrai donare come professionista. Come hanno fatto, per esempio, Maria Vittoria Fogagnolo, Giovanni Bandera e Luigi Caironi Jr oggi professionisti. È un modo, questo, per trasmettere e condividere quello che io, con tanti amici, sento da sempre. È un’onda lunga che è partita nel 1983 ed è arrivata fino a oggi; si chiama passione condivisa».

Marco Calini